La Birra Saison
La Birra Saison: storia, caratteristiche e abbinamenti
Nei territori di confine tra il nord-est della Francia e il Belgio, nel periodo a cavallo tra il XVIII e XIX secolo, i territori corrispondenti alla parte nord del Passo di Calais e le Fiandre risultavano molto simili per tradizioni contadine e culture. Nelle fattorie del tempo tutto era rivolto verso una produzione per l’autosostentamento; si coltivavano cereali, frutta, ortaggi. Non deve quindi stupire quindi che gli agricoltori del tempo, per una piena gestione delle risorse dei campi, producessero anche la birra sia per il proprio fabbisogno che quello dei lavoratori dei campi (detti appunto saisonnière) durante le fatiche estive. La produzione di birra inoltre era profondamente radicata nella cultura fiamminga e questo alimentava una solida tradizione che è confluita, ai giorni nostri, nella famiglia delle cosiddette farmhouse ale o birre di fattoria.
Le materie prime utilizzate erano quelle che offrivano i raccolti, dall’orzo al frumento, alla segale e all’avena sia in forma grezza che maltati. Trattandosi inoltre di birre stagionali il cui scopo ultimo era quello di essere dissetanti, al contempo nutrienti e che potessero tenere nel tempo, visto che passavano diversi mesi dalla produzione al consumo, i birrai sapevano di dover lavorare molto o sul contenuto di alcol o sulla luppolatura rendendole molto secche ma che garantisse una facile bevuta.
In questi territori, gli approcci si diversificarono nel tempo sino a stabilire due famiglie di stili differenti: le Saison in Vallonia (Belgio) e le Bière de Garde in Francia.
In questa prima parte incentriamo il racconto sul lato belga della produzione: Le Saison legata ai saisonniers – i braccianti stagionali. È abbastanza consolidata l’idea che la produzione fosse concentrata soprattutto nei periodi di dicembre, poco prima del Natale e a marzo, quando era più ampia la pausa dalle attività dei campi.
Le materie prime erano abbastanza varie, in funzione delle disponibilità del fattore tra le rimanenze della fine del raccolto e l’inizio del nuovo; l’orzo, sicuramente il cereale più utilizzato, disponibile nelle stagioni invernali, pur tuttavia non mancavano frumento, segale e avena ma soprattutto un caratterizzante ceppo di lievito, l’omonimo Belgian Saison, il quale ha la peculiarità di lavorare a temperature più alte del tradizionale ceppo di lievito ad alta fermentazione.
Questo consentiva di ottenere birre uniche nel loro genere, con un profilo esplosivo carico di fenoli speziati e con un buon apporto di esteri fruttati.
Mentre le Saison preferiscono spezie e luppoli, risultando piacevolmente amare e rinfrescanti, talvolta leggermente acidule, le Bière de Garde prediligono note dolci e maltate, anche leggermente tostate, con il luppolo a svolgere un ruolo secondario, equilibrante. In quanto alla fermentazione pare che storicamente fossero le uniche birre belghe prodotte a basse temperature, beneficiando delle temperature fresche delle cantine, per poi essere rifermentare ad alte temperature.
Non per nulla il significato letterale è birra da cantina, dove la birra veniva maturata. Da questa pratica è nata la diffusa convinzione che le Bière de Garde ammettano stilisticamente sentori stantii, legnosi, di tappo di sughero, ammuffiti, tipici della cantina appunto. In realtà pare si tratti sempre e comunque di difetti determinati da una scorretta conservazione: di fatto la birra dovrebbe essere molto più pulita.
Come detto si tendeva ad adottare soluzioni che permettessero una buona conservabilità delle birre e nel caso delle Saison il metodo di elezione era quello di procedere a luppolature generose, sia in fase di bollitura che nelle fasi successive. Per rendere ancora più appetibili queste birre stagionali, a seconda di quelle che erano le disponibilità del contadino, era frequente l’aggiunta una miscela di spezie e aromi detta “gruyt”, tra i quali dominavano coriandolo, pepe, zenzero, senza tuttavia una ricetta precisa.
All’epoca di cui si parla la fermentazione era ovviamente affidata ai lieviti spontanei, protagonisti di processi fermentativi che, durante il lungo periodo di maturazione, portavano a un livello di attenuazione molto elevato che conferiva alla bevanda un grado di secchezza molto spinto.
A ciò si aggiungevano delle note acidulo-lattiche attribuibili al verificarsi quasi immancabilmente di ulteriori fermentazioni ad opera dei batteri lattici e brettanomiceti. questa combinazione di microrganismi, durante la (lunga) seconda fermentazione, riusciva a convertire anche le catene di destrine non commestibili per i lieviti “domestici”, finendo per dare al sorso una notevole secchezza; mentre la contaminazione lattica contribuiva con i suoi apporti peculiari, così apprezzati in passato.
La coltura applicata da ciascun produttore veniva di solito riutilizzata, trasferendola da una cotta all’altra: quando un ciclo si esauriva (a causa magari di un mosto troppo debole o per altri problemi di varia natura), era pratica comune chiedere in prestito il lievito del vicino, capace di adattarsi in poco tempo al nuovo ambiente.
Gli avanzamenti tecnologici che hanno permesso di migliorare il processo produttivo e di innalzare la qualità, ma necessariamente hanno anche eliminato alcune peculiarità più “selvatiche” nel modo di intendere la bevanda.
È il motivo per cui oggi le Saison e le Bière de Garde non sono che una lontana imitazione delle vere birre delle fattorie di Belgio e Francia, soprattutto perché hanno perso la loro componente “funky”. Questo aspetto è invece stato recuperato da diversi birrifici americani, che spesso propongono le loro versioni di Farmhouse Ale prodotte con l’inoculo di Brettanomiceti, con passaggi in legno o addirittura con fermentazioni spontanee.